
A cura del Prof. Carlo Mari
la cornice organizzativa
Fine Marzo 2025 e TempodiEventi (più nota come T d E, e conseguentemente i soci noti come “tidieini”) fa la sua “campagna di conquista” aretina. Per intendersi, visto che di campagne bellicose in questi anni ce ne sono pure troppe in giro per il mondo: le nostre sono campagne di “conquista interiore”, fra arte, sogno, bellezza, socialità, sorrisi ed emozioni, che in verità producono insieme al sorriso anche qualche lacrima.
Il treno, gloria nazionale, viene da noi tradito con un confortevole pullman. Presi da slancio privatistico, il mezzo di trasporto questa volta è tutto nostro, e siamo pure allegramente più sciolti da stringenti vincoli di orario: lui non parte se non ci siamo tutte e tutti a bordo. Dunque, niente corse orologio alla mano… pare vero! E chi la sente la nostra Premier Rita (con il suo Ministro dell’Economia Lorenzo) se tardiamo di un minuto! Ci sono punizioni severissime. Eccetto in un caso: quando una “tidieina” alla partenza dall’albergo ci blocca perché non trova il cellulare. Dopo affannosa ricerca, in giro per l’albergo e nel quartiere, con intervento anche dei servizi segreti aretini (dalla lunga efficiente tradizione medicea), fortunatamente il cellulare riappare, ovviamente nella borsa della nostra amica tidieina, dove era sempre stato, confortevolmente avvolto in una tela di Piero della Francesca… una copia, ci mancherebbe! Ma in questo caso non c’è stata nessuna punizione: sarà che la tidieina in questione è un pochino raccomandata dalla nostra Premier? o forse perché è bella alta, una vichinga: meglio tenersela buona! Comunque niente paura, il nostro viaggio mantiene tempi rigorosamente precisi, come da programma, recapitato con congruo anticipo per posta elettronica ai partecipanti, che chiaramente lo hanno con grande attenzione… ignorato. Per cui durante la tre giorni aretina è un continuo chiedere: che facciamo ora? Con conseguenti danni per gli equilibri psicologici di Rita e Lorenzo che giustamente si domandano: ma che lo mandiamo a fare sto’ programma un mese prima, tanto questi sfaticati non se lo leggono proprio! Nonostante tutte le nostre resistenze programmatiche, la campagna aretina funziona come un orologio, anche grazie all’Imperatore Massimiliano, che è alla guida sicura del nostro pullman. Questo poverino di autista ha un bellissimo nome, solo un tantino lungo. E siccome fin dalla partenza a lui e a noi viene in mente la scena famosa di Massimo Troisi nel film “Ricomincio da tre” (per il figlio preferisce il nome Ugo e non Massimiliano, come vorrebbe la sua compagna, così si fa prima a chiamarlo), per tutto il viaggio Massimiliano viene chiamato Ugo per faticare di meno: altro esempio evidente di pigrizia ormai patologica che attanaglia l’esercito dei tidieini.
storia e cultura
Eccoci ad Arezzo, in Piazza Guido Monaco, nome di un tizio del tutto sconosciuto… che poi scopriamo essere nient’altro che il monaco Guido d’Arezzo, cioè un pezzo da novanta, della storia della cultura e soprattutto della musica; niente meno che inventore e ideatore della moderna “notazione musicale”: e scusate se è poco. Insomma una vergogna, almeno per tanti di noi tidieini appassionati di musica di cui ci nutriamo h24 sette giorni su sette: beh nemmeno sapevamo il nome “vero” dell’inventore di quel sistema di note musicali di cui ci pasciamo. Insomma una figuraccia appena arrivati ad Arezzo. Ma la guida aretina che incontriamo appunto in Piazza Guido Monaco ci tranquillizza: manco gli aretini lo sanno che Guido Monaco e Guido d’Arezzo sono la stessa persona. Dicevamo, la nostra guida: Sandra, altissima, quasi come la nostra amica tidieina del cellulare perduto di cui sopra! Ci accompagnerà in questa tre giorni con grazia, competenza e simpatia. Nel mentre a casa sua le sta succedendo di tutto: col marito che deve gestire alla meglio due bambini piccoli ed il nonno che cade e si ferisce alla fronte. Insomma anche le guide d’arte tengono famiglia! Ma lei impavida ci accompagna in giro e non ci molla un secondo, illustrandoci arte, cultura e vissuto della sua Arezzo. Che, per inciso, per la nostra amica Sandra è città abbastanza importante. Per intenderci, lo scenario geopolitico internazionale per Sandra è molto semplice: esiste Arezzo… e il resto del mondo! E soprattutto Arezzo è palesemente ancora in guerra con… Putin? Trump? Zelensky? Netanyahu? Hamas? No, con Cosimo I° dei Medici! D’altra parte, diciamo la verità, Sandra ci fa ricordare che la Storia proprio non insegna nulla. Le interessanti dinamiche politiche, socioeconomiche, militari cinquecentesche di città e Signorie toscane che ripercorriamo con Sandra – mutatis mutandis, ovviamente – fanno davvero pensare a quelle degli anni duemila. Siamo venuti ad Arezzo per vedere arte, ma in effetti la prima “colazione culturale” che facciamo è a base di storia e politica. Francamente, da brividi: e anche un po’ deprimente. Historia magistra vitae: manco per niente. La Storia col suo andamento ciclico, coi suoi corsi e ricorsi. L’uomo la ripercorre per ripeterne puntualmente dinamiche… ed errori.
le chiese
Va beh! Meno male che ci immergiamo per due giorni in chiese fascinose. Fra le altre Santa Flora e Lucilla (cui in vari modi ha messo mano Giorgio Vasari, gloria locale, ma… nessuno è profeta in patria, come vedremo), San Domenico (col Crocefisso famoso di Cimabue), San Francesco (con gli affreschi della Vera Croce di Piero della Francesca, gloria aretina a tutto tondo), Santa Maria della Pieve, col suo polittico di Pietro Lorenzetti e con la sua struttura architettonica mossa, dal presbiterio alla cripta sottostante, all’impianto a tre navate: il tutto in uno stile neoromanico duecentesco, prodotto della ricostruzione di una chiesa originaria del V secolo andata distrutta. Insomma Arezzo: città delle tantissime chiese, dalla carica emozionale intensa per il loro rilievo storico spirituale, oltre che per il patrimonio artistico che contengono. Carica emozionale che è figlia anche di un sofferto vissuto storico, che le ha viste nascere, patire distruzioni varie per le vampate folli della storia e dell’uomo, e rinascere, sempre con una determinata e irrefrenabile intenzione di riprodurne, anche in epoche moderne, le origini ed il profilo medievale. Cosa che caratterizza anche gli spazi aperti e importanti della città, come le piazze (a cominciare dalla centrale Piazza Grande), i corsi stretti e lineari e più spesso scoscesi in impegnative salite e discese, di tanto in tanto addolcite da modernissime scale mobili: certo non affascinanti artisticamente, ma tanto comode per il nostro apparato muscolare messo a dura prova. E tante torri e strutture architettoniche varie in puro stile medievale, realizzate però nel ventesimo secolo, quasi tutte dallo sconosciuto architetto Giuseppe Castellucci: un aretino conosciuto dalla nostra guida Sandra e altri pochi intimi!!! Il che peraltro induce fra noi un dibattitto senza soluzione: se cose del genere vadano definite falsi storici o no. Insomma torri medievali costruite negli anni Venti/Trenta del Novecento come le vuoi definire? Secondo noi “falsi storici”, per quanto perfetti e assolutamente bellissimi. Secondo Sandra… no… ma cominciamo ad avere il vago sospetto che la nostra deliziosa guida sia un tantinello una “aretina ultras”! Va beh, la perdoniamo, è troppo simpatica. E poi ha sta’ guerra in atto con Cosimo dei Medici, mica possiamo distrarla!
Maria Maddalena
La Cattedrale è non a caso lì su, sulla vetta della rocca cittadina, che domina città e vallata, Arezzo antica e Arezzo moderna. Senza dimenticare la imponenza architettonica interna di questa Cattedrale/Duomo, con le sue vetrate spettacolari dai colori illuminanti, con le sue volte affrescate (molte opera di Guillaume de Marcillat, nome che confessiamo di non conoscere, ma doveva essere davvero …. bravino!). Cattedrale con la presenza affascinante di Giorgio Vasari, e con una meravigliosa Maria Maddalena di Piero della Francesca, in affresco. Maria Maddalena, che in questa città d’arte abbiamo visto apparire varie volte, ma mai affascinante come in questo affresco. Peraltro se la guardi dritto per dritto ne puoi ammirare le dolci palpebre dal roseo incarnato; ma se ti inchini fino a terra e la guardi, gli occhi le si spalancano e sembrano fissarti. Si, guardano proprio noi, affascinandoci, nel mentre il “leader” organizzativo e spirituale di tutto questo, Don Alvaro, si materializza all’improvviso dalla Sacrestia come uscendo miracolosamente da un affresco, e ci parla: appunto, della Maddalena, del senso di umanità che emana da questa figura evangelica; del messaggio di umanesimo pieno, non solo religioso, che la sua storia o leggenda trasmette a tutti noi: un messaggio fatto di dolcezza, di amore e di perdono. Non è solo il perdono di Cristo per la peccatrice, altro che! è la capacità di perdono dell’uomo per l’uomo. E il perdono nella figura della Maddalena si accompagna ad un’immagine, ad un’idea, ad un archetipo fatto di bellezza, dolcezza, amore. Se pensiamo alla storia tormentata di Arezzo, se pensiamo alla storia tormentata della nostra epoca, questo messaggio di dolcezza, bellezza e amore ti conquista. E’ emozione pura, che ti pervade sulla pelle e sotto la pelle, pur filtrata da qualche lacrima, che non ti esce dagli occhi… ma dal profondo!
casa museo Vasari
Emozione che proviamo anche in altro momento e contesto della nostra tre giorni aretina: nella casa museo di Giorgio Vasari. Arezzo lo celebra, ma non lo ama, in quanto aretino che ha lavorato, collaborato, umanamente “tubato” con i Medici e con l’acerrima rivale Firenze. E però, personalità a dir poco poliedrica: pittore, architetto, scrittore, e soprattutto, storico dell’arte. Con le sue “Vite” ha di fatto creato la nuova scienza della storia dell’arte. Ed è stato anche ai suoi tempi tardorinascimentali un critico d’arte militante. Insomma un intellettuale ed artista a tutto tondo. Un grande. Indubbiamente più discutibile il suo vissuto privato, soprattutto sentimentale. La sua “sposa bambina”, Niccolosa, della potente famiglia aretina dei Bacci, era la sorella della donna veramente amata dal Vasari, Maddalena (potenza di un nome), con la quale l’artista intrattiene lunga relazione amorosa, con tanto di due figli, peraltro da lui non riconosciuti, perché la relazione doveva rimanere segreta, prima e dopo il matrimonio con la ultragiovane Niccolosa. Insomma nel complesso un approccio tendenzialmente misogino, riscattato solo dalla bellezza dei dipinti (che vediamo anche in chiese, non solo nella casa museo) in cui Vasari ritrae la moglie Niccolosa bella, bionda, capelli lunghi elegantemente raccolti, fronte alta, incarnato chiarissimo (ma ne possiamo godere noi ammiratori d’arte, non credo fossero sufficienti a rendere felice la giovane sposa). Tornando alla visita della casa museo, ogni sala e saletta è splendidamente affrescata. Con immagini e colori sublimi, a volte tratte da iconografia cristiana o familiare, ma molto più spesso ispirate, come da Rinascimento, alla mitologia classica. Da Apollo alla Fama alle Muse, ritroviamo immagini a noi ben note e care dell’antica mitologia greca, con un clima di estetismo dolce ed ammaliante ad un tempo. Non si sa davvero dove guardare, in queste stanze peraltro piccole, ma affrescate in modo totalizzante su pareti e soffitti: ne sei letteralmente avvolto. Gli affreschi te li senti sulla pelle. Ma al di sopra di tutto, il nostro sguardo affascinato – o almeno sicuramente quello di chi vi sta scrivendo – si ferma e si blocca su cinque lunette d’angolo nel soffitto, nelle quali sono ritratte, con dolci ma emblematiche figure di giovani donne, le arti: la musica, la scultura, la pittura, il teatro, la letteratura. Ecco, sulla immagine della letteratura (giovane donna bionda e sinuosa che scrive) personalmente resto bloccato per minuti e minuti, in preda a vera sindrome di Stendhal. Mi risveglia solo l’intervento della nostra leader maxima Rita… ma questa volta non per ricordarmi il tempo che scorre (che in verità è anch’essa immagine mitologica), ma per chiedermi se mi voglio fare una fotografia sotto la lunetta della giovane donna che scrive. Insomma Rita – non a caso è il capo – si è accorta del mio blocco e viene a salvarmi da Stendhal. Ma diciamo la verità, quegli affreschi stanno incantando anche Rita, che è finita in braccio a Stendhal pure lei: questa è la verità!
varie aretine
Non ci facciamo mancare nulla, di Arezzo. Una visita alla casa museo Ivan Bruschi, in cui è conservata una ricchissima collezione di oggetti d’arte varia: da brocche a costumi, da monili preziosi ad utensili casalinghi, da quadri a piccoli arazzi. Una collezione che è testimonianza antropologica: d’epoca (etruschi compresi), di usi e costumi, di gusto artistico, di volontà di conservare memoria di un vissuto umano, tanto privato quanto collettivo.
E non ci facciamo mancare la visita ad un artigiano e incisore del legno, che ci riceve nella sua bottega. Anch’essa testimonianza di un vissuto, ad un tempo artistico e commerciale, nel senso positivo del termine. Cioè una produzione funzionale ad arredare, decorare, oppure a rappresentazioni storiche che in Arezzo annualmente ripropongono la storia di una città, con la capacità di divertirsi, di fare spettacolo e teatro anche con la memoria. La Giostra del Saracino, che invade annualmente Piazza Grande e la città con il suo spettacolo, la sua gioiosità, ed il suo legittimo movimento economico per una città, che come tutte, ha bisogno di andare avanti, pur nelle crisi economiche, sociali e politiche del presente (ad Arezzo testimoniate, ad esempio, dalla sparizione di marchi epocali come la Buitoni, o dalla chiusura di tanti laboratori di oreficeria, vera specialità cittadina). E allora, come altre splendide città italiane, si rivitalizzano storia e tradizione, nella chiave di uno spettacolo, innamorato del proprio passato e speranzoso nella prospettiva di un futuro. E l’artigiano cerca di raccontarci qualcosa di tutto ciò. Ma è talmente sommerso da oggetti e strumenti (e ricordi) nella sua piccolissima bottega, e probabilmente talmente preso dalla emozione di fare, una volta tanto, spettacolo di se stesso, che riesce a illustrarci molto meno di quello che si sarebbe potuto approfondire. Ma anche la sua emozione a dir poco confusionaria, di uomo e artigiano d’altri tempi, in fondo è spettacolo; è anch’essa umanità aretina, che abbiamo incontrato.
Né può mancare qualche nostro incontro con specialità culinarie del luogo. In verità più che gustarsele in loco, molti di noi se le comprano, ben avvolte in confezioni ipertecnologiche anni duemila, e se le gusteranno a casa, a Roma. Formaggi, salumi. E con esse, un ricordo anche delle cene al ristorante dell’albergo, forse non specificamente aretine, ma davvero buone e gradevoli: le pietanze, l’impiattamento, e la compagnia amicale.
pomeriggio sansepolcrino
Il terzo giorno del nostro “triduo” aretino, in effetti lasciamo Arezzo città, e ci muoviamo nella provincia. Ma sempre mondo aretino è: Pieve Santo Stefano, Sansepolcro. Nel pomeriggio qui troviamo il cittadino illustre del luogo: il sansepolcrino Piero della Francesca. Affreschi e dipinti vari, che il nostro amico Piero ci ha fatto conoscere anche ad Arezzo città, e che ci propone in questa visita veloce nella sua cittadina d’origine. Pittore e matematico: anzi, come ci dice la nostra guida Sandra, matematico che fa pittura ispirandosi ai fondamenti della matematica: l’equilibrio, la misura, l’armonia. Che poi, da buon rinascimentale, Piero trasforma in equilibrio delle forme artistiche, nell’armonia delle sue figure: armoniche nel proprio profilo, armoniche nella propria collocazione nello spazio. Devo però confessare una cosa – ma forse forse non sono il solo del gruppo a dover fare questa confessione. Per i dipinti di Piero della Francesca visti a Sansepolcro, ok. Ma sempre a Sansepolcro, nella chiesa di San Lorenzo, è apparsa qualcosa che mi è penetrata dentro più di Piero: una Deposizione (primocinquecentesca, recentemente restaurata) di Rosso Fiorentino da Premio Oscar. Due gli elementi che colpiscono. La figura fisica del Cristo morto, inquietante per il suo incarnato che davvero rende l’idea del “non essere”, del superamento del corpo che la morte produce. Incarnato, ossa, muscolatura, articolazioni, colorito: tutto segna emblematicamente il passaggio avvenuto. Quel corpo non “è più”. E poi i colori dello scenario, sfondo ed anche figure umane che circondano il Cristo deposto. Arancioni intensi, vivissimi, penetranti, e tonalità di blu, che sfumano nell’azzurro, nel celeste, per poi recuperare un blu intenso, forte, che contrasta col corpo deposto, ormai senza colore. Quasi un uso dei colori di gusto e di tecnica preraffaellita, con tre secoli di anticipo. Insomma onore non solo a Piero, ma anche a Rosso Fiorentino.
nel fruscìo della memoria
La mattina di questa domenica conclusiva del nostro breve intenso viaggio, la trascorriamo nel paesino di Pieve Santo Stefano. Ha dato i natali… no, non ad un pittore, ma al politico della Prima Repubblica Amintore Fanfani. Ma non siamo qui per questo. Per tutt’altro: un paesino, totalmente distrutto al termine della seconda guerra mondiale da mine disseminate per l’intero borgo dalle truppe naziste in ritirata; un paese ricostruito praticamente da capo nella seconda metà del ventesimo secolo; un paesino di 3.000 abitanti, dei quali nella nostra visita ne incontriamo… una decina. In verità a Sansepolcro il pomeriggio ne incontriamo una cinquantina: cioè tra due paesi interi abbiamo incontrato meno persone che in un paio di strade di Roma, dice la guida… no, meno persone che nel mio palazzo d’abitazione, aggiungo io!!!! Eh già, a Roma siamo abituati ad altri numeri, come è ovvio. Ma non è che siamo noi ad averli messi in fuga? Avranno pensato: ma chi sono questi disturbatori della nostra quiete, armati di macchine fotografiche e cellulari? E tuttavia, si diceva, in questo piccolo paesino di tremila abitanti, visitiamo un luogo in cui di abitanti ne troviamo… un’infinità: l’Archivio e il Piccolo Museo del Diario. Il giornalista Saverio Tutino nel 1984 ha lanciato idea e realizzazione di questo anomalo museo, quasi unico, che raccoglie, conserva e … fa vivere diari, piccoli e grandi, di persone comuni. Con il loro fruscìo della memoria. Uomini e donne, giovani e vecchi, di varie epoche e contesti, ma soprattutto novecenteschi, hanno portato (per lo più lo hanno fatto i loro discendenti ed eredi) i propri appunti, i propri diari più o meno frammentari, più o meno improvvisati, ma in alcuni casi anche abilmente strutturati sul piano letterario. Li hanno portati per farli conservare, per farli vivere, per farli rivivere giorno dopo giorno, giorno dopo giorno. Per farli restare e convivere con le generazioni successive. Tutti catalogati e classificati, in rigoroso ordine alfabetico, criterio che più democratico non si può. Non c’è il diario che conta di più, non c’è il diario del cittadino importante e quello del cittadino comune; non c’è neppure il diario della persona onesta e corretta e quello della persona spregiudicata o di malaffare. Ci sono i diari di uomini e donne; i diari di persone. Che parlano. Che ci parlano. Autrici e autori che, come ci racconta Luigi, uno dei curatori del Museo, di notte escono dagli scaffali e parlano tra loro, e dialogano, magari litigano, ma fanno vivere una comunità di persone che sono esistite, che nella quasi totalità dei casi nella propria vita non hanno avuto “voce”, marginalizzati certamente dalla Storia, ma anche dagli altri. E che ora, nella memoria, e nelle piccole asettiche stanze del Piccolo Museo, ogni notte si risvegliano, rivivono, parlano, in un gioco surreale di apparenze, ma tanto vive, tanto reali, tanto presenti. E in questi eventi notturni finalmente contano, perché rappresentano quello che c’è di più importante in una società: persone. E fra tante persone, con i suoi scritti, anche una nostra amica, che da pochi mesi non c’è più… ma nel Piccolo Museo del Diario invece c’è, e rivive. Ogni giorno, ogni notte: c’è Marisa, che parla, legge, sorride. E racconta. E noi le ascoltiamo, tutte quelle voci che escono da quelle carte, da quei taccuini; o anche da quei supporti tecnologici (la tecnologia gioca il suo ruolo, positivamente, anche qui). Video e audio, che raccontano; l’arte più bella inventata dall’umanità: il narrare. E parlano tra loro, e parlano con noi, che in una mattinata piovosa di marzo 2025 passiamo per Pieve Santo Stefano; una trentina di amici, che vogliono conoscere, capire, vivere. Soprattutto convivere con tante donne e uomini comuni, come noi, che a distanza di decenni, ed anche più, hanno tanta voglia di parlare: sì, di parlare con noi. E’ proprio per questo che hanno scritto e lasciato i loro diari. E non è neanche notte: questa volta escono dagli scaffali in pieno giorno, perché trenta romani mezzi matti come noi in giro per l’Italia insieme non li trovano tanto facilmente. Il Signor Luigi racconta queste scene di colloqui notturni e non si accorge – o forse sì – che le sue parole, da lui appena sussurrate a bassa voce, hanno messo in moto la scena che di solito lì dentro si svolge di notte. E invece stiamo dialogando con loro tutti insieme e ad un tempo ognuno dall’interno di sé: con i piccoli diaristi. Suggestione del racconto in stile gotico del Signor Luigi…direte voi! Ovviamente. Ma proprio sicuri? Qualcosa è successo lì dentro, si è animato: la Signora Clelia che scrive su un lenzuolo o il giovanissimo Massimo ucciso dalle SS o la maestrina Silvia bocciata alle elementari o il contadino siciliano Vincenzo narratore in una lingua di fatto creata da lui: sicuri che siano passati solo nella nostra mente? Certo: ma meglio non scommetterci. Io li ho visti! E voi? Narrazioni, d’amore e di morte, di gioie e dolori, di oppressione e di libertà. Ma con una cosa in comune: parlare sempre sommessamente, senza le urla dei talk show. Da persona a persona. Un fruscìo, degli altri. Quello che tante volte, troppe volte, nella vita convulsa e frenetica di tutti i giorni, non ascoltiamo, anzi nemmeno lo percepiamo. Invece è quello che conta: il fruscìo degli altri, insieme al fruscìo nostro.
il ritorno
Così insieme all’autista Massimiliano, dopo aver salutato (ma è un arrivederci, un soffuso fruscìo di empatia) la nostra deliziosa guida Sandra, aretina… ma tanto aretina, possiamo tornare a Roma soddisfatti. Abbiamo incontrato Piero della Francesca, Vasari, Cimabue e ce li portiamo negli occhi, nella mente, nell’anima. Abbiamo incontrato Don Alvaro con la sua Maria Maddalena, e ce li portiamo dentro: iconici. Abbiamo incontrato paesaggi cittadini e collinari, scenari medievali e rinascimentali.
Ma abbiamo incontrato anche il fruscìo degli altri; e questo ce lo teniamo… nel profondo.
Alla prossima… TempodiEventi
Carlo, anche questa volta non ti sei smentito. Il viaggio ad arezzo e dintorni l’ho vissuto attraverso la tua descrizione appassionata e profonda e l’ho voluto seguire guardando contemporaneamente le vostre foto. Un’esperienza nuova. Che dire della descrizione del Museo del Diario. Hai espresso con sensibilità ed effetto il motivo del suo essere. Grazie.
Buongiorno a tutti, ho letto l’articolo del Professore Mari, è come fosse un diario da condividere che mi potrà aiutare a ricostruire i tanti momenti vissuti, le opere, le chiese, l’atmosfera di Arezzo e le cittadine che abbiamo visitato, come fossero questi a guardare la nostra meraviglia e le nostre emozioni. Grazie Prof., grazie a tutti voi che mi avete accolta in questa mia prima esperienza di viaggio con l’Associazione e in particolare a Rita e Lorenzo, per la generosità, l’energia e la vostra sensibilità . A presto
Caro Carlo, con il tuo bel racconto dettagliato e, a tratti ,ironico, ho rivissuto i giorni trascorsi ad Arezzo e tutto quello che abbiamo condiviso nel gruppo: sentimenti, emozioni, sorrisi, commenti, suscitati dalla bellezza dei contesti e delle opere d’arte, ma anche e soprattutto del viverle insieme. Che é poi il messaggio del Museo del Piccolo diario: sono le persone e i loro racconti e scambi a dare senso e un “brivido di eternità” a questa fragile e breve vita. Grazie!
Cara Rita, suggerisco di raccogliere in un libro i racconti dei nostri viaggi descritti con passione da Carlo, il nostro ” storico” e fine osservatore di emozioni indimenticabili.
Che ne dite, voi tidieini?
Sarebbe il nostro diario, da leggere e rileggere facendo rivivere in noi ricordi di bellezza eterna. Quella che ci salverà…
Grazie Carlo, alla prossima!