Mettere piede nella Rocchetta Mattei
a cura di Annabella Izzo
Gli elementi per la “nostra mattinata particolare” ci sono tutti. Ci troviamo a Riola un paese dell’Appennino tosco-emiliano a una cinquantina di chilometri da Bologna. Ci accoglie nel museo archivio Claudio Carelli, presidente della ONLUS Cesare Mattei, che tra cimeli, documenti, fotografie, libri e gadgets si adopera con tutta l’enfasi che può a caricarci di suspense, minuto per minuto sfruttando il tempo ed anche di più che avevamo a disposizione prima di iniziare il percorso della visita del castello. Ci intratteniamo nella sala girovagando tra le bacheche con l’orecchio impegnato ad ascoltare curiosamente la parlantina convulsa di questa persona che suscita comprensione se non altro per l’obiettivo sincero che cogliamo nel rendere merito a quell’uomo dell’Ottocento, divenuto conte attraverso escamotages in uso all’epoca per il posizionamento sociale. Il nome di un imperatore romano, Cesare, ne dice abbastanza, nel senso dell’apertura al nuovo secolo, per la capacità di conquistare il favore della gente, per la tenacia di raggiungere il primato sulla sua attività. Ho pensato alla suggestione del nome che portava, tipica dei megalomani, si sarà sentito il dio della medicina, a capo della scienza, chissà! Di numerologia e di simbolismi alchemici e misterici non me ne intendo nel modo più assoluto, quindi introito dal racconto di chi ci sta parlando tutto quello che posso semplicemente ed educatamente come si conviene nelle occasioni dove ci sentiamo estranei alla materia. Non mi azzardo ad acquistare i libri scritti da studiosi di oggi sull’elettromeopatia, metodo di cura per uomini e animali ideato e messo in atto dal conte Mattei, perché zeppi di diagrammi, scale, calcoli, formule, numeri integrati in figure geometriche e quant’altro. Mi confondo solo nel guardarli, quindi evito. Mi compro invece un volumetto simpaticissimo sui ricordi di vita paesana al tempo di Cesare Mattei e della vita nel suo castello. Leggo volentieri, saltando decine di pagine dall’inizio del libro, il sesto capitolo “Serate in Rocchetta” dove si raccontano le feste bizzarre a far gazzarra (bisticcio di parole che ci sta pure) del conte con alcuni amici che si riunivano periodicamente a fare musica. Prendevano parte ai concertini personaggi esperti di strumenti come Romeo Donati, l’ingegner Eugenio Pantaleoni e suo fratello Giuseppe suonatori di organetto, il maestro Leonelli ed il curato di Savignano Adolfo Gentilini esperto tamburino soprannominato Dolf da Ren. Tipi eccentrici senza dubbio, e come non potevano esserlo? Erano gli amici prediletti che accettavano come musicista il conte che sapeva appena aprire e chiudere il mantice di un organetto inserendo la sua performance “magistralmente”, si legge, nella polifonia che si creava. Sentiamo dalla voce decisa e competente della guida Diletta, che gli strumenti antichi presenti negli ambienti non sono mai appartenuti ai beni del conte, sono solo in mostra, credo di ricordare anch’essi di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna che nel 2005 ha rilevato la proprietà della Rocchetta. Nelle serate da ballo veniva invitata la popolazione ed erano scontati i mascheramenti, i travestimenti, le bevute e tutte le bizzarrie che possiamo immaginare alimentate dal buon vino e, aggiungo io, chissà da cos’altro…. Il conte con molta evidenza non se la cavava male con la chimica. Gocce e pilloline vattelappesca! Ne venivano fuori in quelle allegre serate componimenti poetici, canti e storielle esilaranti, scherzi folli ai quali reagiva con grasse risate che lo portavano allo svenimento. Le strofette musicali riportate in questo libricino delizioso che mi ha catturato, erano più o meno sulla falsariga di questa: “Per viver felici nel mondo di qua Due balle ogni giorno pigliar si dovrà. Lo disse un profeta di sana dottrina Mentre era in cantina del vino a trombar”. Alla fine dei bagordi il conte Cesare abbandonava la compagnia, si ritirava nelle sue stanze, si chiudeva a chiave e alzava il ponte levatoio che aveva fatto costruire a sua totale difesa. Ci domandiamo perciò, parlottando tra noi su chi fosse realmente stato quest’uomo: un illuminato precursore della medicina che oggi definiamo alternativa? Uno scienziato pioniere in un campo psicofarmacologico? Una “Vanna Marchi” con baffetto e ciuffo (così appare nei ritratti esposti nel museo)? Un abile affarista considerata la sua formazione in materie economiche? I pareri sono tanti e di diverso tenore. Ci piace parlarne, ci passiamo tempo anche dopo la visita scherzandoci su. Chiunque sia stato a noi basta aver avuto l’occasione di curiosare nella sua vita e nella sua dimora che lo rispecchiava assolutamente per l’eccentricità. Una cosa bisogna ammettere, è stato un uomo che su questa Terra qualcosa ha lasciato, quindi non un uomo qualunque a prescindere dalle nostre modeste o più competenti deduzioni. Un uomo determinato e coraggioso che ha pagato uno scotto nella vita più intima e familiare, finendo i suoi giorni in solitudine, difendendo i suoi beni da approfittatori a lui molto vicini e addirittura con la disperazione di non riuscire a tramandare le formule dei suoi rimedi esportati nel mondo. Sento salirmi una sorta di comprensione al di là della razionalità. Geniale l’idea di legare il mondo antico, misterico, esoterico, geograficamente e culturalmente lontano da lui in quell’epoca ad una modernità considerata sul momento solo frutto di follia o di avidità. L’ecletticità messa in atto nella costruzione del castello dimostra forse che aveva trovato, attraverso quella, il collante per tenere tutto insieme: la costruzione sullo stesso sito dove secoli prima il Barbarossa e successivamente la contessa Matilde (poi divenuta da Canossa) avevano costruito con i propri canoni esoterici; la moda in voga in quel periodo dello stile moresco con l’implicazione della religione islamica (la piccola Alhambra); la religione cattolica (abbiamo visitato la cappella); la frequentazione di personalità laiche e non; la nobiltà e il popolino. Praticamente sacro e profano per sua tranquillità e a suo beneficio. Un interrogativo però mi rimane! Per le sperimentazioni lo scienziato signor Conte Mattei avrà rispettato un minimo di “codice etico”? Si sarà comportato come narra la leggenda sull’alchimista, esoterista, massone Raimondo di Sangro, per intenderci il principe di Sansevero, quello della Cappella San Severo nel cuore di Napoli? Costui un secolo prima del conte Mattei era ossessionato dal sistema arterovenoso e per rappresentarlo con minuzia, tipica degli squilibrati, sperimentava i suoi sieri sulla servitù ancora in vita, cercando di arrivare alla cosiddetta “metallizzazione” di tutto l’apparato circolatorio. Non pare proprio, pare fosse viceversa un filantropo e un uomo empatico tanto dedito ai suoi compaesani, non avrò mai certezza, ma va bene così. Quindi mi resta il moto di simpatia che tutto sommato ho provato durante la “nostra mattinata particolare”. Chiudo con un suo intercalare ricorrente riferendosi alla sua vita, che riporto testualmente dal volumetto: “Oh che comedia! L’è una vera comedia!”
Grazie a Rita, a Lorenzo, alla guida Assunta Coccomini che ci ha condotto per Bologna a scoprire o rivivere la magnificenza della città sulla quale ci sarebbe da scrivere per una infinità di tempo. L’effetto di ritornare nella rossa, nella dotta, nella grassa lo porto gelosamente dentro di me e perdonatemi se non lo condivido in questa occasione.