Siamo le Parole che Scegliamo

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Siamo le Parole che Scegliamo

“Ognuno di noi è le parole che sceglie: conoscerne il significato e saperle usare nel modo giusto e al momento giusto ci dà un potere enorme, forse il piú grande di tutti.”

                                                                (Vera Gheno, “Potere alle parole”, Einaudi settembre 2019)

ll senso del libro è racchiuso in questa riflessione.  L’autrice, una sociolinguista specializzata nella comunicazione mediata dal computer (comunicazione digitale), sviluppa questo assunto con riferimenti quanto mai concreti al vissuto quotidiano. “Lavorare, avere una relazione sentimentale, fare la spesa, viaggiare, curarsi, stare sui social, crescere figli, sostenere un dibattito, ottenere un documento dalla pubblica amministrazione, difendersi da un’accusa, comunicare una scoperta, studiare, insegnare, andare al cinema”:  insomma in tutto ciò che facciamo, complesso o   elementare, l’uso sapiente, appropriato, ricco, incisivo della parola è conditio sine qua non. 

Per essere; per vivere; per interagire; per capire e farsi capire. Sembrano ovvietà, ma non lo sono. 

D’altronde quante volte si è sottolineata, con preoccupazione crescente, la diffusione del cosiddetto analfabetismo funzionale? Ahi, le parole…. E che vuol dire? Vuol dire ciò che la Gheno esemplifica così : come possedere un armadio pieno di vestiti di tutti i tipi e modelli, ed indossare sempre lo stesso, in qualunque circostanza: per pigrizia, chiusura, rinuncia, isolamento. E conseguentemente riduzione, semplificazione, banalizzazione, non comprensione: dell’oggetto, dell’altro e di sé.  

Lo so, quando si parla di “parola”, linguaggio, comunicazione corretta e ricca, oggi si tende facilmente a pensare ad un approccio elitario alla vita collettiva. 

E la Gheno in fondo chi è? Una cosiddetta esperta, élite, cioè altro rispetto al reale, al popolare. Sappiamo bene invece che non è così. “Finché ci sarà uno che conosce 2.000 parole e un altro che ne conosce 200, questi sarà oppresso dal primo. La parola ci fa uguali”.  E non dovrebbe nemmeno servire, Don Milani, per rendersi conto di questo potere “democratico” della parola. 

La Gheno però ci spinge ad andare oltre. La parola, il linguaggio va al di là della dimensione politica e si pone in tutta la sua valenza esistenziale. La parola ci identifica, ci connota, ci definisce nei nostri contorni umani, nel nostro profilo. Ci squaderna davanti a noi stessi. E ci pone ovviamente in comunicazione con l’esterno.  

Di più. La relazionalità oggi passa attraverso la mediazione tecnologica della parola stessa, che ne ridefinisce le caratteristiche, l’identità e l’intensità, persino la grafica. E muoverci con efficacia e padronanza in questo scenario linguistico – tradizionale e tecnologico ad un tempo – ci connota come individui e cittadini dell’oggi.  Ci realizza oppure – in sua assenza – ci limita e ci isola.   

La parola postula precisione, chiarezza, condivisione, apertura, identità come dinamismo e disponibilità. Ed oggi invece impatta e naufraga di fronte alla tendenza all’esatto contrario: approssimazione, oscurità (manipolazione?), non condivisione (e quindi separatezza e solipsismo), chiusura, identità come staticità e arroccamento. 

Fosse anche solo per questo, la lettura di “Potere alle parole” è formativa e liberatoria. 

Rende addirittura seduttivi il rispetto ed il controllo della parola, come percezione consapevole e soddisfatta di noi stessi e del rapporto con l’altro.

Insomma un saggio da specialisti che invece si sviluppa con la levità concreta ed intrigante del vissuto quotidiano. 

Del resto c’è stata una cosa che mi ha indotto ad accostarmi a questo libro. Aver letto, nel profilo biografico dell’autrice, che è collaboratrice dell’Accademia della Crusca (la scientificità fors’anche paludata) di cui è però anche curatrice dell’account twitter.

Eh sì, questo connubio “erotico” mi ha intrigato: Accademia della Crusca e Twitter, racchiusi sensualmente in una medesima persona. E l’ho letto!

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